Sono
Marina Mangone, 38 anni, di Asti. Una laurea in Pubblicità e un master in
Marketing e Comunicazione mi hanno dato l’opportunità di lavorare in varie
aziende, tanto (e bene) negli anni d’oro della Torino olimpica. La mia vita perciò
è stata vissuta per una decina d’anni fuori dalla mia città di nascita, per poi
decidere di riportarla ad Asti alla fine del 2007.
Quindi
il “ritorno alle origini”, qualche esperienza lavorativa e poi la grande crisi.
E poi… il salto importante, fatto un po’ da incosciente, un po’ nel buio, col
fiato sospeso, ma con tanta passione: un’azienda tutta mia, solo mia, di eventi
e comunicazione.
E di
nuovo a studiare, formarmi, fare esperienza e imparare, per arrivare al Grande
Sogno (o la grande pazzia?) di gestire una struttura ricettiva.
Così,
dall’inizio del 2014, ho dato vita a una nuova avventura: un hotel a pochi km
da Asti, piccolo, all’interno di un castello settecentesco. Un’autentica
scommessa, una follia per molti, una “cosa troppo grande” per la mia famiglia,
una sfida per me.
Un’avventura
iniziata con pochissimi soldi e tanto cuore, un mare di idee e nessun cliente.
Un’attività completamente a terra, tutto da fare, tutto da iniziare,
dall’arredamento al marketing, dalla strategia alla pratica più spicciola. Una
scommessa che tanto affascina quanto spaventa.
Vi
assicuro che è stata dura: mettere in moto un’azienda del genere, da zero, di
colpo assorbe la vita e la stravolge completamente, ponendola ad affrontare un
impegno molto più complesso di quanto la fantasia possa far immaginare. Lo sa
bene chi lavora nel turismo, nella ristorazione, più difficile da comprendere
da chi svolge un lavoro completamente diverso. Un hotel non ha orari, non ha
giorni di chiusura, non ha festivi.
Non
si ha bene l’idea – mai – di quante cose ci siano da fare, di quante incombenze
pesino su un’attività anche così piccola. Quanta burocrazia, quante carte,
quanti permessi, domande, doveri, richieste e zero aiuti, nessuna agevolazione
e tante, troppe tasse. L’Italia dovrebbe vivere di turismo. La nostra terra, il
nostro Monferrato, dovrebbe in questo preciso momento - più che in ogni altro
precedente - avere come obiettivo la ricettività. Dovrebbero capirlo gli
amministratori di ogni livello: ma non è così.
È
uno stile di vita, ci vogliono cuore, passione, entusiasmo e dedizione: non è un
lavoro e basta.
In questi ultimi due anni ho perso persone davvero
importanti (e spesso anche il sonno), ho dovuto lasciar andare occasioni con
grande dolore, ho trascurato vita privata, amici, festività e svago. Le frasi
che mi sono sentita dire con più frequenza sono state “non ci sei mai”, “non
hai mai tempo”: la vita è andata avanti lavorando mentre gli altri facevano
festa, anche se il mio cuore molte volte avrebbe sicuramente fatto scelte
diverse e, dietro a tutto questo, c’è stata anche grande sofferenza e fragilità
che chi avrebbe dovuto, non ha saputo comprendere.
Ma
non potevo fare altrimenti, l’inizio non lascia scelte e spazi, perché mi sono
ritrovata a fare di tutto. L’amministratrice, la portiera notturna, la colf, la
receptionist, la cameriera, la segretaria: non c’è mansione che all’interno del
mio hotel non abbia ricoperto senza orari, senza domeniche, senza riposo, senza
soprattutto le forze economiche per potermi permettere collaboratori, senza la
possibilità di tirare il fiato ogni tanto. Qualche aiuto è giunto prezioso da parte
di pochissimi amici, ma fondamentali: non ce l’avrei mai fatta senza il loro
straordinario sostegno.
Ci
sono stati, e ci sono tuttora, momenti di sconforto: paura di non farcela, rabbia,
lacrime, stanchezza, fatica, pensieri, a volte solitudine e tanta cattiveria di
chi giudica senza conoscere e senza capire.
La
voglia di mollare tutto? No, quella mai.
Attualmente
ho due mutui da pagare, ma gli Ospiti non mancano, anzi: talvolta le richieste
sono così tante da non riuscire a evaderle tutte. Il mio piccolo hotel è sempre
più bello, ha aggiunto una stella (adesso sono 4), tanti servizi e anche un
piccolo centro benessere unico in tutta la nostra provincia, aperto a chiunque.
Ho formato poco per volta un piccolo ma meraviglioso staff, composto da persone
straordinarie e solari, che mi affiancano con dedizione.
Mantengo
il sorriso, anche e soprattutto verso chi pensava (o anche un po’ sperava?) che
fallissi. È un percorso ancora lungo, ogni giorno un po’ in salita; c’è sempre
tanto da fare, da investire, da pensare e da lavorare, ma posso dire di esserci
riuscita: l’attività è avviata e cresce. La fatica, il tempo, la passione,
l’impegno e la pazienza ripagano sempre, e oggi riesco anche ad avere una vita
con orari, tempi e spazi più normali per me e per chi ha avuto la forza e la
fiducia di starmi accanto e di credere in me e nel mio progetto.
E,
cosa più importante, ho mantenuto me stessa, i miei occhi e il mio cuore, nonostante
la bufera iniziale mi abbia a volte un po’ travolta.
Non
mi ritengo una donna in carriera e neppure desidero diventarla: sono solo una ragazza
che cerca una vita vissuta col cuore, semplice e normale, che vuole le persone
che ama accanto a sé, la famiglia, gli amici... Sbaglio tantissimo e cado
spesso, ma lotto sempre per rialzarmi.
Sono
una donna fiera di esserlo, e sto cercando di far crescere un’azienda nella mia
terra, una struttura turistica che funzioni, che possibilmente dia del lavoro a
persone che ci credono quanto me, nonostante e durante la crisi.
Sarò
una visionaria, eppure ci credo.
Il
primo ostacolo, purtroppo, sta proprio nel fatto di essere una giovane donna
che vuole svolgere questo lavoro ed essere presa sul serio. Tantissime ragazze
capiranno cosa intendo dire. Molto spesso, le persone con cui mi raffronto nel
quotidiano non pensano che sia la titolare. Mi viene detto in tono scherzoso
che “il mio capo mi fa lavorare troppo”, altri mi prendono per la stagista
tuttofare.
Ma
il vero scoglio, ahimè, è lavorare tra i miei concittadini, nella nostra terra
così bella, ma purtroppo così triste. Questo pessimismo che ci pervade, questa
negatività assoluta, questa voglia di fare poco per cambiare le cose, ma tanta
di lamentarsi di continuo. Sento dire dagli abitanti del paese in cui lavoro
frasi come “a noi il turismo non interessa” e mi si gela il sangue. Sento
avversione e diffidenza da parte di chi pensa che mi stia arricchendo con la
mia attività. Mi viene da ridere, scusatemi. Posso assicurare di non aver mai
avuto difficoltà economiche importanti come in questo periodo.
Già,
e allora perché lo faccio?
Perché
credo nel nostro territorio, perché provo a guardarlo rispecchiato negli occhi
dei turisti che ospito e vorrei che fosse valorizzato per la sua straordinaria
bellezza, che tutti ci invidiano. Dovremmo imparare dai viaggiatori stranieri,
che fanno carte false per venire qui, a godere delle nostre colline sinuose e
della nostra eccellente enogastronomia; che sono capaci di osservare quello che
noi non riusciamo più a vedere: la ricchezza della nostra terra, i paesaggi
unici, la natura, i campi e quello che riusciamo a portare in tavola, la
cultura dei nostri nonni, le nostre tradizioni, i nostri sapori.
Dovremmo
smettere di lamentarci continuando a usare la crisi come alibi. Credo che, per
vedere oltre, bisognerebbe tornare un po’ indietro, a quando si lavorava sodo cantando
e col sorriso sulle labbra, a quando si aveva poco in casa, ma quel poco si
sapeva condividerlo e l’accoglienza era un piacere.
C’è
bisogno di aprire le menti, rinnovarsi, adeguarsi al cambiamento, scommettere
sui punti di forza e allargare le prospettive del nostro splendido Monferrato
verso l’esterno, verso il turismo.
Smettiamola
di aspettare che qualcosa cambi senza prima modificare noi stessi, smettiamo di
stare a casa ad aspettare che torni il “posto fisso” e lo “stipendio sicuro”, o
il lavoro nel solo orario di ufficio. Proviamo a rimboccarci le maniche,
investendo su di noi e sulle meraviglie che abbiamo. Basterebbe aprire i musei,
i palazzi, i castelli, le cantine, le aziende agricole; comunicare attraverso
il web e i canali media; organizzare eventi e feste a misura di turista e non
SOLO per i nostri paesi; urlare al mondo quanto sia bella la nostra terra,
essere felici di accogliere il visitatore per potergliela raccontare, mostrare,
vivere nella sua pienezza… invece di
continuare a criticare chi prova a farlo.
I
primi a doverci credere, i primi a dover promuovere le nostre bellezze
dovrebbero essere coloro che qui sono nati e cresciuti; invece, troppo spesso,
dimostrano di non conoscere nemmeno il patrimonio che sta loro attorno.
E
allora lottiamo, ricominciamo a cantare, proviamo a sorridere, togliamoci di
dosso i musi lunghi e questo grigiore, questa apatia; smettiamola di
compiangerci stando fermi, come se non fossimo noi i veri protagonisti di
questa situazione; ritroviamo il cuore, le mani, la voglia di lottare, di
spendere la nostra creatività e di credere nella nostra Terra e nelle nostre
origini.
Perché
l’unico miglioramento realizzabile deve nascere dentro di noi.
E il
cambiamento sarà possibile solo cambiando, in primis, le nostre menti.
Io, intanto, non mi arrendo.